I Bersaglieri di Manara e la Divisione Lombarda (1848-49)


I Bersaglieri di Manara e la Divisione Lombarda (1848-49)

Il 24 marzo 1848, hanno termine le cinque giornate e Re Carlo Alberto di Savoia ha dichiarato guerra all’Austria, quando un nucleo di 124 volontari esce da Milano per inseguire gli Austriaci che si ritirano cercando di guadagnare il quadrilatero fortificato in Veneto. Questi uomini, sono comandati da Luciano Manara, figlio di un avvocato, nato nel 1825 sposato con Carmelita Fe, nipote di Giacomo Beccaria. Il gruppo, si ingrossa presto con l'arrivo di Ticinesi (svizzeri), Valtellinesi e Genovesi mentre si dirige verso la sponda veneta del Garda. L’obiettivo di Manara infatti è quello di tagliare la strada a rinforzi austriaci eventualmente provenienti dal Brennero. I suoi volontari, benché mossi da notevole ardimento, sono male armati, e per sopravvivere possono contare su se stessi e sulle offerte delle popolazioni che incontrano, poiché l’esercito Sabaudo che avanza con loro non era preparato ed in grado di assistere una tal massa di gente oltre ai propri effettivi. Scarseggiano soprattutto ufficiali e sottufficiali capaci.  


A questo scopo, vengono ripescati vecchi ufficiali napoleonici ormai a riposo da anni, mentre vengono rifiutati alle volte ufficiali e sottufficiali “italiani” che hanno disertato dalle file nemiche. Questo fenomeno - quello dei disertori - assume in questa prima fase della campagna proporzioni notevolissime. Interi reparti austriaci, formati da soldati di provenienza polacca e ungherese soprattutto si offrono agli “italiani” contro il nemico comune.
Nel giugno del 1848 così il gruppo di Manara, è ormai una Divisione di 8.000, pur continuando ad avere un'organizzazione molto precaria. La "Divisione Lombarda" come ormai viene chiamata, dopo la sconfitta di Custoza, si smembra e  viene posta di riserva ai regolari piemontesi. Dopo l'armistizio, si apre la caccia ai responsabili. Allora come oggi infatti, nessuno è disposto a prendersi le responsabilità di un insuccesso, e così, escluso il Re che non poteva essere accusato, e non essendoci un Comandante delle forze armate a cui addossare la responsabilità, non si prende nessun provvedimento al riguardo. Nel frattempo, l'esercito piemontese nei mesi che seguirono questa sospensione delle operazioni aumenta notevolmente i suoi effettivi… a tutto discapito chiaramente della qualità dell’addestramento e dell’esperienza nella catena di comando. I Sergenti diventarono Capitani,  i Capitani Generali. A comando supremo dell’Armata, per evitare gli errori fatti, si arrivò a cercare all'estero il comandante, individuandolo nello Chrzanowsky, polacco, totalmente all'oscuro della situazione italiana, ritenuto uno stratega intelligente, studioso di guerra, ma… povero di battaglie campali.
Nel febbraio 1849, gli viene affiancato come capo di stato maggiore, Alessandro La Marmora, che ha anche il compito di compensare lo staff di Chrzanowsky tutto straniero che costui si era portato dietro. Furono inoltre esclusi dalla catena di comando dell’Armata, tutti i Generali che avevano avuto una parte di rilievo nella prima fase della guerra e che tutto sommato avevano dato buona prova. A ciò va aggiunto che tutti i Lombardi, non potevano certo ritornare alle loro case in Lombardia, che in base alle condizioni armistiziali, vengono riuniti nuovamente in Divisione sotto il comando del Generale Ramorino.
Questa unità finalmente risponde a criteri organizzativi così strutturati :

1° Brigata
19°-20° regg. di fanteria
Legione Bersaglieri di Manara
Legione Polacca
Legione Ungherese

2° Brigata
21°-22° regg. di Fanteria
Bersaglieri trentini e studenti
Guardia Nazionale
Corpo Valtellinesi e Bergamaschi di Guicciardi 

Alla ripresa delle ostilità nel 1849, in attuazione del piano offensivo, la Divisione Lombarda occupava la pancia più protesa verso il Piemonte dello schieramento a mezzaluna ideato dallo Chrzanowsky. Sulle ali si sarebbe invece sviluppata la manovra avvolgente dell’Armata Sarda.
Insomma ai lombardi spettava il ruolo dell’incudine, mentre al resto dell’Armata quello dei martelli.
Il piano, audace, non tiene purtroppo conto delle intenzioni e delle manovre austriache. Si tratta cioè una esercitazione teorica, priva di riscontro campale. Occorre infatti ricordare, che al tempo, non esistono comunicazioni fra i reparti, e che gli ordini emanati per mezzo di staffette, giungono con  giornate intere di ritardo sulla condizione che li hanno generati amplificando gli eventuali errori tattici di valutazione commessi, 
Come abbiamo già detto, le Divisioni da 5 erano salite a 7 su 15 Brigate con oltre 119 Reggimenti. Per supportare questa forza, furono immessi in ruolo circa 2.000 nuovi ufficiali e 4.000 sottufficiali.  La posizione difensiva presso il paese di Cava, di fronte a Pavia, viene lasciata dal Gen. Ramorino a Manara al comando del 21° Reggimento, per portare il grosso della Divisione sulla destra del Po. Questa manovra in contrasto agli ordini ricevuti incappa nel concentramento Austriaco su Pavia e l'attacco in forze a mezzogiorno del 20 marzo, impegnano i soldati di Manara presso Cava che pur resistendo all'interno del paese, non riescono a sbarrare la strada per Mortara. Gli austriaci infatti “fissano” gli “italiani” dentro l’abitato e sfilano con il grosso delle forze che prosegue l’avanzata. Il giorno 21 il Generale Ramorino viene destituito dal comando e sostituito da Manfredo Fanti, Generale di Brigata.
A punto tutto lo schieramento appare compromesso, e la sola possibilità di rovesciare la situazione consiste nel fare attraversare il Po ai resti della Divisione Lombarda e della 5a Divisione disposta verso Piacenza. Purtroppo questa manovra di retroguardia non ha ancora preso avvio che nella serata del 24, sulla base di frammentarie notizie giungono voci di un grosso rovescio presso Novara. Si rinuncia quindi ad ogni velleità offensiva iniziando il ritiro delle truppe verso Alessandria.
Carlo Alberto pone fine alla guerra e contemporaneamente abdica in favore del figlio Vittorio Emanuele Duca di Savoia. Il destino della Divisione Lombarda è segnato. Il nervosismo della sconfitta, la fine d'ogni illusione unitaria, l'incerto futuro costituzionale, l'impossibilità di ritornare in patria si diffonde fra i soldati sbandati, provocando scontri con la popolazione e anche casi di saccheggi e violenze.

Quello che resta della Divisione viene instradato verso la Liguria via Bobbio (Piacenza), dove a loro scelta i lombardi possono decidere di restare nell'esercito sardo, diventare civili e risiedere in Piemonte o andare in altri stati. Quest'ultima scelta include anche la guerra a Roma tra le fila repubblicane. Per tale soluzione il Generale La Marmora si occupa personalmente di reperire due battelli (i vapori "Nuovo Colombo" e "Giulio II"). Manara e i suoi, imbarcati nella notte del 22 aprile, sono seguiti cinque giorni dopo dai bersaglieri trentini. Altre spedizioni, intercettate da navi francesi vengono ricondotte in Liguria. A Roma la Legione Manara si farà valere e ampiamente ammirare per le sue capacità in combattimento. Antonio Gallenga, nel 1851, (che era stato acceso mazziniano) scriveva a Mazzini che rivendicava la gloria del patriottismo di chi aveva combattuto per Roma rispondeva: "...chi combattè a Roma, lo affermo decisamente, non fu il partito repubblicano. Là vi era il nazionalismo trascinato all'esasperazione, il crudele disinganno di speranze mal concepite... (...) ... ho parlato a centinaia di coloro che si distinsero fra i primissimi posti di combattimento, e cui non interessava nulla della forma istituzionale: il giovane Dandolo (Emilio Dandolo) ci dice che la Legione Manara rifiutò altezzosamente di deporre la Croce di Savoia che portava sui cinturoni, malgrado lo scherno e le frecciate dei demagoghi poltroni che fecero certamente più baccano nelle piazze che non sulle mura della Città".(1)
Dopo la repubblica Romana, quel che resta della legione, si perde alla spicciolata prendendo varie destinazioni, compreso l'emigrazione all’estero.

Note (1)
Niccolò Rodolico Storia degli Italiani pagg. 792-793